Dal SAI DM il racconto di Francesco
Sai cosa significa lavorare nei progetti SAI Disagio Mentale?
Mò ti spiego è una campagna di comunicazione che vuole raccontarvi i servizi di Arca di Noè per favorire percorsi di inclusione sociale e inserimento socio-lavorativo nel territorio di Bologna.
“Un’istituzione che intende essere terapeutica deve diventare una comunità che si fonda sulla interazione preriflessiva di tutti i suoi membri: dove tutti i membri di una comunità possono, attraverso la contestazione reciproca e la dialettizzazione delle reciproche posizioni, ricostruire il proprio corpo proprio.” F. Basaglia
Il SAI (ex SPRAR) disagio mentale, disagio sanitario – DM-DS – è un progetto sperimentale nato da un anno a Bologna e, con la gestione di 60 posti, è il più grande in Italia. La cooperativa Arca di Noè gestisce un appartamento composto da sei uomini adulti a Quarto inferiore (BO), in seguito ad una serie di lavori strutturali per approntare migliorie che rispondessero ai bisogni degli ospiti. Francesco lavora nell’appartamento di Quarto Inferiore come operatore dell’accoglienza, educatore. È una figura questa che, in virtù delle forti competenze relazionali che presuppone, è volta a sostenere i processi di trasformazione di un percorso di cura. La squadra di lavoro è formata da più figure con competenze specifiche nell’ambito di vulnerabilità psichiatriche: due operatori diurni, due operatori notturni, una coordinatrice e un’antropologa.
Il percorso di un ospite all’interno di questo progetto di accoglienza dura in media un anno ed è volto a favorire l’autonomia della persona, in rete con i servizi sociali e di salute mentale del territorio. L’attività che Francesco svolge è improntata sulla co-costruzione di una relazione di supporto, condivisa con l’equipe di lavoro che permetta di definire insieme all’ospite il progetto d’accoglienza che tenga conto delle vulnerabilità evidenziate.
Le persone ospitate sono autonome nelle loro attività quotidiane e, in seguito ad un percorso, assumono la terapia farmacologica in totale autonomia. Francesco ci racconta di un ragazzo con un ritardo cognitivo riconosciuto al 60%. Giunto da una struttura per minori, l’ospite appariva fortemente infantilizzato ma nel giro di un anno il progetto ha fatto emergere le sue potenzialità. Grazie ad un tirocinio lavorativo, il ragazzo in questione è riuscito a maturare una sua idea di futuro e sta portando avanti il progetto di accoglienza con ottimi risultati. Ad oggi è stata richiesta una proroga di 6 mesi per permettere a questa persona di programmare l’uscita dalla struttura con un progetto e i suoi sogni da realizzare.
Lavorare in questi progetti, significa agire quotidianamente dando un supporto relazionale, educativo e nel sostenere gli ospiti nel ricostruirsi una vita. Francesco è consapevole che non sempre l’autonomia è raggiungibile concretamente ed è per questo che ha lavorato molto sulle sue aspettative. Non sempre è possibile una soluzione. Per chi lavora con persone vulnerabili l’importante è essere presenti, osservare, prevenire eventuali ricadute e prestare attenzione ad ogni piccolo segnale di cambiamento. All’uscita dal progetto non tutti gli ospiti potranno essere totalmente autonomi ed è per questo che gran parte del lavoro, soprattutto in uscita, è focalizzato sulla tessitura di relazioni con il territorio affinché le persone siano supportate, laddove necessario, dai servizi preposti.
Il progetto DM-DS è un progetto sperimentale. Sempre più, nel tempo, è cresciuta la consapevolezza che lavorare con le vulnerabilità richiede strumenti specifici. È nata l’idea di “strutture ponte” che potesse supportare i servizi, mediare, accompagnare le persone accolte in un processo di consapevolezza delle proprie situazioni sanitarie. Per gli ospiti, l’accoglienza in un progetto DM-DS, significa essere in grado di comprendere le vulnerabilità e di riconoscerle. Significa ridurre il rischio di ritraumatizzazione e di crescita del disagio che inevitabilmente si sarebbe verificato senza un’attenzione adeguata.
Dal punto di vista del territorio accogliere un progetto DM-DS significa cercare di non stigmatizzare la vulnerabilità che, solo se vista e compresa, può essere riconosciuta, curata, integrata nel tessuto sociale in cui queste persone vivranno, si spera, un giorno.
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