accoglienza e integrazione
30 aprile 2019
È la Festa dei lavoratori: che ne sarà di noi?

Il lavoro nell’accoglienza dopo il decreto 132/2018 e il nuovo capitolato

Sono passati 7 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del Decreto Legge 113/2018, una delle prime e più eclatanti operazioni dell’attuale governo, fortemente voluta dal Ministro dell’Interno. Decreto convertito con modifiche nella Legge n.132 del 2018 su “migrazione e sicurezza” in vigore dal 4 dicembre 2018.

L’orientamento dell’attuale governo verso il tema migrazioni ha delle ripercussioni non solo sulle condizioni dei migranti in Italia, né tanto meno è risolutivo di un fenomeno storico complesso che porta le persone a spostarsi, muoversi e migrare verso il continente Europeo (e non solo) per cercare protezione da violenze e discriminazioni, ma anche nuove opportunità, esperienze ed una vita migliore.

Sicuramente i richiedenti asilo sono le prime vittime di questo approccio. Il diritto d’asilo che definiva quella tipologia di protezioni a riconoscimento nazionale ha subito uno smottamento significativo: il permesso di soggiorno per motivi umanitari è stato “spacchettato” in altre tipologie di permesso, meno tutelanti e per nulla equiparabili al precedente in termini di garanzia dei diritti fondamentali. Urge ricordare in questo momento storico che, come ci insegna l’articolo 10 comma 3 della Costituzione italiana, l’asilo è un diritto, non una concessione dello Stato; non è un’aspirazione lasciata al senso etico e umanitario di chi decide, ma una pretesa giuridicamente garantita dalla Costituzione.Primo maggio Arca di Noè

La legge 132/2018 ristruttura il modello ventennale dello SPRAR, rinominandolo SIPROIMI e riservandolo ai soli titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati. Ne nega l’accesso, invece, ai richiedenti e ai titolari di protezione umanitaria. Se ai primi rimane il diritto all’accoglienza nei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) o nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA), i secondi sono costretti ad uscirne, senza nessun aiuto né alternativa, a vivere in strada e di espedienti, impossibilitati a trovare una sistemazione dignitosa sul territorio.
Il nuovo capitolato – pubblicato a fine dicembre 2018 dal Ministero dell’Interno sul quale le Prefetture stanno basando i nuovi bandi per l’assegnazione della gestione dei CAS – sta completamente rivoluzionando il sistema di accoglienza, a causa della pesante riduzione del budget a disposizione degli enti gestori. Questi tagli favoriscono da un lato l’accorpamento in grandi centri sovraffollati e dall’altro la riduzione dei servizi offerti. Se i vecchi bandi prevedevano un massimo di 35 euro pro die e pro capite (i famosi 35 euro, che coprivano i costi dei servizi offerti ai richiedenti asilo e rifugiati, oltre che gli stipendi dei lavoratori e delle lavoratrici dell’accoglienza), il nuovo capitolato ha ridotto la quota ad una cifra che va dai 26.35 euro per le strutture più grandi, a 21.35 per quelle più piccole (sempre pro die e pro capite). La riduzione del budget e l’aumento del numero di richiedenti asilo ospitati per singola struttura sta producendo conseguenze negative sui servizi erogati, ridotti ai bisogni essenziali di vitto e alloggio, a discapito dell’integrazione e dell’inclusione sociale.

Questa nuova organizzazione è insostenibile sia a livello di risorse che di qualità dell’accoglienza in quanto favorisce le grandi strutture, aumenta il rapporto tra operatore e richiedente da 1/3 a 1/8, peggiora le condizioni di un lavoro, ricordiamolo, fortemente stressante perché altamente impegnativo e specializzato. Ciò ha portato molti gestori storici dell’accoglienza a non partecipare ai nuovi bandi. Non bisogna aver paura di affermare che il nuovo capitolato, riducendo le ore di lavoro da dedicare al sistema accoglienza, ha avuto come immediato effetto quello di minacciare e negare il diritto al lavoro di decine di migliaia di persone.

Secondo una stima della Fp Cgil, su 40 mila persone impiegate nel sistema di accoglienza circa il 40% verrà licenziato o non vedrà rinnovato il suo contratto. Saranno, dunque, circa 18mila le persone che perderanno il lavoro a causa del nuovo orientamento di Governo, personale composto per la maggior parte da giovani sotto i 35 anni, prevalentemente donne laureate e specializzate in diverse discipline: sono educatrici, assistenti sociali, antropologhe, insegnanti di italiano L2, psicologhe, medici, infermiere, mediatrici culturali, avvocati. Secondo un monitoraggio della Fp Cgil 5 mila lavoratori sono già stati interessati da procedure di esubero. In questo modo una delle forme di welfare dal basso più proficue nel panorama italiano sta subendo un forte arresto, con gravi ripercussioni soprattutto in termini lavorativi e occupazionali.

Non senza difficoltà dal 2015 alcune realtà del sistema di accoglienza avevano tentato di strutturare una tipologia di “accoglienza diffusa” sul modello dello SPRAR che, da un lato, evitava la concertazione massiva dei richiedenti in strutture sovraffollate; dall’altro promuoveva la loro integrazione nei territori locali, costruendo percorsi di autonomia dignitosi e efficaci. Per quanto indubbiamente perfettibile e limitato ad alcuni contesti, c’è stato il tentativo di sviluppare un’accoglienza più attenta alle esigenze non solo dei richiedenti ma anche e soprattutto dei lavoratori, dei territori che accolgono queste strutture e della cittadinanza. Seppur numericamente esigue, queste esperienze, anziché essere valorizzate e usate come modello per una vera rivoluzione in positivo del sistema di accoglienza, verranno totalmente eliminate dal nuovo orientamento politico verso il sistema dell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei titolati di protezione internazionale.

Saranno, sicuramente, “prima gli italiani” a perdere il lavoro. Oggi è il Primo Maggio e nel giorno della festa dei lavoratori e delle lavoratrici è bene ricordarlo: vogliamo riconoscimento lavorativo, reddito e dignità!

 

Silvia Pitzalis è assegnista di ricerca in Sociologia dell’ambiente e del territorio e in Discipline demoetnoantropologiche presso l’Università di Urbino Carlo Bo, con un progetto finanziato dalla fondazione Alsos dal titolo: “Esiti commissariali e sentenze giudiziarie in Italia: pratiche sociali e filtri istituzionali”. Antropologa di formazione, dal 2009 si occupa di disastri, rischio e vulnerabilità. Ha svolto al riguardo ricerche in Sri Lanka e nella zona emiliana colpita dal sisma del 2012. Inoltre dal 2007 si occupa di migranti a livello volontaristico e di attività politica. Tra 2016-2018 ha lavorato come operatrice sociale e come antropologa all’interno del sistema di accoglienza a Bologna. Durante lo svolgimento della attuale ricerca, collabora con la cooperativa sociale Arca di Noè, soprattutto con la sua équipe legale, analizzando il lavoro svolto da un punto di vista socio-antropologico.

Arca di Noè dal 9 aprile sta portando avanti una campagna di comunicazione Mò ti Spiego. Vi racconteremo le persone che lavorano nei nostri servizi, le motivazioni che ci hanno spinti a scegliere questo lavoro, le difficoltà che affrontiamo e la passione che ci mettiamo ogni giorno.
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Mò ti spiego Arca di Noè

Stiamo per raccontarvi una gran bella storia!#mòtispiego

Pubblicato da Arca di Noè Coop. Soc. su Martedì 2 aprile 2019

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